Durante il periodo delle dichiarazioni dei redditi, anche quest’anno si è ripresentato l’annoso tema del calcolo degli acconti per quei soggetti che hanno effettuato il passaggio tra diversi regimi fiscali, dal forfettario al regime semplificato o ordinario e viceversa.
In questo articolo vogliamo analizzare questi scenari e condividere degli esempi dettagliati per una migliore comprensione delle dinamiche che intervengono.
Prima di addentrarci nell’esposizione, però, riteniamo utile contestualizzare la natura e le peculiarità del regime forfettario che, lo ricordiamo, è un regime fiscale agevolato.
Caratteristiche, requisiti e limiti del regime forfettario
Il regime forfettario è un regime fiscale agevolato riservato ai titolari di partita IVA e prevede l’applicazione di un’imposta sostitutiva all’IRPEF.
Introdotto dalla Legge 190/2014 (Legge di Stabilità 2015), negli anni ha subito numerose modifiche fino a quelle del più recente e corposo intervento normativo inserito nella Legge di Bilancio 2020.
L’imposta sostitutiva all’Irpef che caratterizza la natura del regime in oggetto, prevede l’applicazione di una tassazione agevolata pari al 15% che viene abbattuta al 5% per i primi 5 anni di vita di una nuova attività.
Tale aliquota di imposta viene applicata forfettariamente su un coefficiente di redditività sul fatturato, che varia in base all’attività esercitata e va dal minimo del 40% previsto per le attività ristorative (e non solo), fino al massimo del 78% per le attività professionali, scientifiche, tecniche, sanitarie, di istruzione e servizi finanziari e assicurativi.
Per poter beneficiare di tale regime, è necessario che il titolare di partita Iva non realizzi dei redditi su base annua superiori ai 65.000 euro, pena l’esclusione dal regime.
Inoltre, il legislatore ha previsto delle cause di esclusione a cui bisogna prestare attenzione:
- l’aver sostenuto spese per lavoro dipendente, accessorio e collaborazioni per importi superiori a 20.000 euro;
- l’aver percepito redditi da lavoro dipendente o assimilati e pensioni per importi superiori a 30.000 euro (fatta eccezione per i lavoratori dimessi o licenziati);
- l’aver proceduto all’acquisto di beni strumentali all’attività.
I titolari di partita Iva che aderiscono al regime forfettario sono tenuti alla presentazione della dichiarazione dei redditi, ma non applicano l’Iva né la ritenuta d’acconto in fattura, e non sono obbligati alla tenuta della contabilità.
Passaggio dal regime ordinario/semplificato al regime forfettario
Dopo l’excursus sulle caratteristiche del regime forfettario, dettagliamo il caso in cui un contribuente che nel corso del 2021 ha adottato il regime IRPEF (ordinario/semplificato), sia passato nel 2022 al regime forfettario.
Ipotizziamo anche che lo stesso non abbia percepito altri redditi da assoggettare ai fini IRPEF e che quindi sarà tenuto a presentare il modello dei redditi Unico Persone Fisiche.
In questo caso il contribuente non verserà alcun acconto né ai fini Irpef né ai fini dell’imposta sostitutiva.
Questo perché manca l’annualità precedente come base storica sulla quale calcolare i suddetti acconti, proprio perché l’anno precedente il contribuente era soggetto all’Irpef in base al regime semplificato/ordinario.
Passaggio dal regime forfettario al regime ordinario/semplificato
Invertiamo lo scenario e ipotizziamo ora il caso di un contribuente che nel 2021 aveva aderito al regime forfettario e che nel 2022 sia invece transitato a quello ordinario (o semplificato).
Nell’ipotesi in cui lo stesso abbia conseguito altri redditi assoggettabili a Irpef, la questione va trattata in sede di dichiarazione mediante il modello Unico Persone Fisiche.
Nello specifico, il contribuente non verserà acconti a titolo di imposta sostitutiva con il metodo storico in quanto l’anno precedente aveva percepito redditi in regime forfettario, tuttavia verserà acconti a titolo di Irpef con il metodo previsionale, in base ai redditi che si prevede verranno percepiti durante il 2022.
Scenari e future modifiche del regime forfettario
Negli ultimi anni le sorti di questo regime di vantaggio sono in mano alle forze politiche che hanno avanzano numerose proposte di modifiche.
In particolare, da un lato ci si interroga sulla capacità delle casse dello Stato di privarsi degli introiti dell’Irpef a favore di una maggiore platea di contribuenti che usufruiscono di una tassazione agevolata, dall’altro c’è il desiderio di venire incontro ai titolari di partita Iva che, ricorrendo il superamento dei limiti di reddito dei 65.000 euro si vedrebbero bruscamente applicare l’aliquota del primo scaglione Irpef.
Proprio per meglio regolare tale transizione, si era paventata l’ipotesi di una tassazione sostitutiva da applicare in questi casi.
Al superamento dei 65.000 euro, e fino a un tetto massimo da individuare, potremmo infatti assistere alla nascita di un’aliquota sostitutiva e transitoria per i primi due anni di fuoriuscita dal regime:
- del 20% per i contribuenti che pagavano l’imposta sostitutiva al 15%
- del 10% per i contribuenti che, in fase di start up dell’attività, vedevano applicarsi quella del 5%.
Tale scenario resta tuttavia ancora un’ipotesi priva di ufficialità.