Il mondo aziendale è intriso di terminologie specifiche che spesso si legano a concetti complessi e normative articolate e, tra queste, il termine “società di comodo” merita una disamina approfondita per comprendere pienamente il suo significato e le implicazioni fiscali che comporta.
Vediamo quindi cosa si intende per società di comodo e quale normativa si trova alla base di questa tipologia di aziende. Scopriamo, inoltre, una recente risposta dell’Agenzia delle Entrate a un interpello di esclusione della disciplina in tema di società di comodo.
Che cosa sono le società di comodo?
Le società di comodo sono quelle società che, per specifici criteri definiti dalla normativa fiscale, vengono identificate come entità che non esercitano un’attività economica sostanziale.
Questo termine nasce dall’esigenza del legislatore di contrastare situazioni in cui entità aziendali possano essere create o mantenute in vita principalmente per ottenere vantaggi fiscali ingiustificati, piuttosto che per condurre una reale attività imprenditoriale.
La caratteristica principale di una società di comodo è dunque la mancanza o l’insufficienza di attività operative: non vi è una reale produzione o scambio di beni o servizi, oppure l’entità presenta dei ricavi troppo bassi rispetto a determinati standard, solitamente definiti in riferimento a parametri come costi di personale o volumi d’affari.
Una società ritenuta di comodo è soggetta a specifiche conseguenze fiscali. La principale è la presunzione legale di non operatività, che comporta l’applicazione di una serie di regimi di tassazione più gravosi e potrebbero vedersi applicate delle addizionali sui redditi d’impresa.
Infatti, secondo l’articolo 30 della legge n. 724 del 1994 (e successive modificazioni e integrazioni), le società vengono considerate non operative qualora non superino il test di operatività, che è basato su un confronto tra l’ammontare dei ricavi e certi valori minimi presunti. E tali società sono obbligate a dichiarare un reddito minimo, calcolato applicando al valore di alcuni beni posseduti delle percentuali forfetarie specificate nella legge.
Società di comodo: disciplina e normativa di riferimento
La disciplina normativa che regola le società di comodo in Italia è un pilastro del diritto fiscale, instaurata per mitigare il fenomeno dell’elusione fiscale e assicurare un contributo equo al sistema tributario da parte delle aziende, proporzionato alla loro effettiva capacità economica.
La legge italiana ha adottato misure specifiche per combattere la pratica delle società di comodo, delineate dall’articolo 30 nel Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), nei commi da 6 a 9. Inoltre, il decreto legislativo n. 147 del 2015, noto come “Decreto Internazionalizzazione”, ha introdotto ulteriori precisazioni sul concetto di sostanza economica rispetto a quella giuridica, ponendo enfasi sulla necessità di una reale attività operativa da parte delle aziende.
I criteri attuali si basano su parametri definiti dalla legge, tra cui il rapporto tra costi e ricavi, la sostanzialità delle operazioni e la congruenza tra l’attività dichiarata e gli aspetti economico-fiscali.
Inoltre, in base all’articolo 110, comma 11, del TUIR, viene richiesto che i ricavi siano congrui rispetto ai costi sostenuti, per considerare l’attività operativamente rilevante ai fini fiscali.
L’articolo 61 del D.P.R. n. 917/1986 pone inoltre l’attenzione sui margini operativi netti come indicatore di efficienza e produttività aziendale, consentendo così all’Agenzia delle Entrate di individuare le società che non superano determinate soglie di redditività. Questi margini sono spesso oggetto di indagine e di specifiche misurazioni, delineate in dettaglio nelle disposizioni attuative rilasciate dall’Agenzia delle Entrate, per stabilire se una società può essere definita “di comodo”.
Il mercato avverso non è causa di esclusione dalle società di comodo
All’interno dell’ambito fiscale, le società si trovano spesso ad affrontare cicli economici variabili e condizioni di mercato che possono influenzare la loro redditività. Tuttavia, quando si parla di società di comodo e del relativo regime fiscale, le sfide del mercato non giustificano automaticamente l’esclusione da questa categoria.
Per fare chiarezza, l’Agenzia delle Entrate, mediante la Risposta a interpello n. 53 del 27 febbraio, ha fornito importanti delucidazioni.
In questo specifico caso, una società immobiliare richiedeva di essere esclusa dalla definizione di “non operativa” per un periodo fiscale in cui non era riuscita a generare ricavi sufficienti secondo quanto stabilito dalla legge, a causa di circostanze di mercato negative.
La società appellava al contesto pandemico, oltre a fattori esterni come l’inflazione e la crisi geopolitica, come cause delle difficoltà economiche incontrate.
Tuttavia, secondo quanto previsto dall’articolo 30 della legge n. 724 del 1994 e dalle sue successive modifiche e integrazioni, l’Agenzia delle Entrate ha rigettato la richiesta, poiché le prove e gli argomenti forniti dalla società non erano ritenuti sufficienti per ottenere una deroga al regime normativo previsto per le società non operative.
Infatti, l’articolo 30 comma 4bis della legge n. 724 del 1994 dà la possibilità alle società di rivolgersi all’amministrazione fiscale ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera b), della legge 27 luglio 2000, n. 212, nota come Statuto dei diritti del contribuente, al fine di chiedere una disapplicazione della normativa sulla non operatività, dimostrando l’esistenza di condizioni straordinarie che hanno reso impossibile il raggiungimento dei ricavi presunti.
Tuttavia, l’onere della prova grava sulla società che deve fornire evidenze convincenti e specifiche circa l’impossibilità di raggiungere i suddetti ricavi a causa di situazioni al di fuori del proprio controllo e non per una mancanza di attività sostanziale.
Nonostante ciò, nel caso in esame, l’Agenzia delle Entrate ha sottolineato che le difficoltà economiche non sono sufficienti a sé stanti per giustificare l’esclusione dal regime delle società di comodo. L’azienda non aveva infatti presentato prove sufficienti che dimostrassero in maniera incontrovertibile come le avverse condizioni di mercato avessero impedito di generare ricavi superiori ai minimi stabiliti.